Rientra tra i “servizi di ristorazione e catering” la fornitura di cibi destinati ad essere consumati immediatamente dal cliente finale, se accompagnati da servizi di supporto sufficienti a garantirne tale consumo immediato. Se invece il cliente sceglie di non avvalersi dei mezzi umani e tecnici messi a disposizione dal fornitore per accompagnare il consumo del cibo (quindi in ipotesi di consegna d’asporto o a domicilio), la prestazione non si qualifica come servizio di ristorazione, bensì come cessione di beni e, in particolare, come cessione di “prodotti alimentari”. Questo il principio sancito dalla Corte di Giustizia UE, nella sentenza 22.4.2021 relativa alla causa C-703/19, avente ad oggetto il caso di una catena di fast food che, oltre alla fornitura di cibo, forniva
anche una serie di servizi di supporto ritenuti predominanti rispetto alla fornitura degli alimenti.
Per quanto sopra, il trattamento IVA è legato alla natura della cessione ovvero prestazione; essendovi quindi una differente applicazione di percentuale IVA.
I Giudici comunitari rammentano innanzitutto che l’art. 98, Direttiva n. 2006/112/CE consente ai singoli Stati membri di applicare un’aliquota ridotta a talune cessioni di beni o prestazioni di servizi indicate nell’allegato III della citata Direttiva. Gli Stati membri sono inoltre liberi di scegliere le categorie a cui concedere tale aliquota ridotta, rispettando il principio di neutralità fiscale, il quale impedisce che cessioni di beni o prestazioni di servizi simili, che si trovino in concorrenza gli uni con gli altri, siano trattati in modo diverso dal punto di vista dell’applicazione dell’IVA.
Disciplina Nazionale
Il n. 121), Tabella A, Parte III, DPR n. 633/72, con riferimento alle prestazioni di servizi, prevede l’applicazione dell’aliquota IVA ridotta al 10% per le “somministrazioni di alimenti e bevande, effettuate anche mediante distributori automatici; prestazioni di servizi dipendenti da contratti di appalto aventi ad oggetto forniture o somministrazioni di alimenti e bevande”. Con riferimento alle cessioni di beni, invece, il n. 80) della citata Tabella A prevede la medesima aliquota IVA al 10% per le cessioni di “preparazioni alimentari non nominate né comprese altrove”. Dubbi erano quindi sorti in merito al corretto trattamento IVA applicabile alle cessioni di cibi venduti con modalità “a domicilio” o “da asporto”. Nel Principio di diritto 22.2.2019, n. 9 infatti, l’Agenzia delle Entrate ha specificato che la “somministrazione di alimenti e bevande” va assoggettata all’aliquota IVA del 10 %, ai sensi del citato n. 121), mentre la “cessione con asporto” degli stessi beni deve scontare l’aliquota IVA applicabile alla singola tipologia di bene alimentare ceduto. Con l’art. 1, comma 40, Legge n. 178/2020 (Finanziaria 2021) il Legislatore ha risolto in parte la questione, fornendo l’interpretazione autentica del predetto n. 80) e ricomprendendo tra le “preparazioni alimentari” da assoggettare all’aliquota IVA al 10% le cessioni di piatti pronti e di pasti che siano stati cotti, arrostiti, fritti o altrimenti preparati in vista del loro consumo immediato, della loro consegna a domicilio o dell’asporto. Alla cessione di bevande (alcoliche e non) risulta applicabile l’aliquota IVA propria del bene ceduto. La legislazione nazionale, quindi, nel prevedere la medesima aliquota IVA ridotta, senza distinzioni tra cessioni / prestazioni di alimenti, risulta in linea con i principi espressi dalla Corte di Giustizia UE.